Fatti d'amore e caffè.

Quello che la gente non capiva, quando vi fissava, era che potevate starvene ore ed ore lì, non curanti di niente e nessuno.
Non capivano che l'ultima cosa a cui avreste pensato sarebbero stati i loro invidiosi commenti. Lo scandalo della strada, fino a svoltare l'angolo, poi da lì già passati di moda per lasciare il posto ad un senza tetto canterino.
Tu immersa in un suo abbraccio, giocherellando con il cielo, a testa in giù, quasi a strusciar per terra con la punta dei capelli.
Lui con un sorriso incredulo, stringendoti forte in pugno per paura di vederti volar via, con i piedi per aria, a contar le nuvole quante sono.


Quello che la gente non capiva è che potevate non mangiare per giorni, talmente sazi l'uno dell'altra da essere indigesti in eterno.
Il letto a farvi da capanna, sembrava quasi che la luce facesse a pugni con le tapparelle per entrare ad ammirarvi un po'. Belli, felici, senza pensieri; a nascondere le emozioni più segrete sotto le coperte di cotone.
Tu sdraiata su di un fianco, a disegnar paesaggi sul suo petto, con un sorriso spaventato sulle labbra e una gran voglia di cappuccino.
Lui con lo sguardo perso tra i tuoi capelli, a definirne i tanti colori, con le braccia rigide e il fiato spezzato dalla bellezza del tuo viso.


Quello che la gente non capiva è che arrivavate al bar ancora in pigiama, non perché vi eravate appena svegliati, ma perché l'unica buona motivazione per falvi alzare da quel nido di lenzuola era la vostra irrefrenabile dipendenza dalla caffeina.
Tu ordini un cappuccino ed un bacio.
Lui lo vuole nero e intenso, come il buio di quella caffetteria.
Vi guardate allo specchio dietro il bancone e sorridete. Siete perfetti.


Quello che la gente non capiva è che non c'era niente che poteva impedirvi di essere così. Non capiva che per voi l'amore era più forte di tutto, devastante come un maremoto e duro come un pugno nella bocca dello stomaco. Che non vi importava di stare sdraiati su di una panchina per pomeriggi interi, né di passare giornate dentro al letto a contarvi le lentiggini sul naso, né tantomeno di destare scandalo per una camicia sbottonata in un bistrot.
Quello che la gente non capiva è che eravate fatti proprio così. Fatti solo d'amore e caffè.



Così, come a primavera, si schiudono i fiori.

Stasera ogni pensiero ha un pizzico di lui, quel tanto da solleticarti il cuore.
E la luna è così luminosa da sembrare una piccola perla.
Ed hai provato per ore ed ore, davanti allo specchio, un sorriso spensierato, che non profumi di malinconia.
Poi hai lavato i piatti, spolverato le mensole della cucina, stirato vecchie camicie abbandonate.
Ridipinto l'anima, aggiustato il televisore, ascoltato la vostra canzone, creato castelli di carta con piccoli pezzetti di ricordi.
Infilato il pigiama, spento le luci e chiuso la porta. 


Stasera il tempo, non c'è.



Cambia il tempo, ma noi no.

Ci sono certe mattine, in cui ti svegli con il sole dentro.
In cui schiudi gli occhi di scatto, sgranchisci le braccia e salti fuori dal letto, il tutto accompagnato da un'incredula eccitazione. Sgattaioli in cucina a preparare il caffè e sorridi alla finestra. Il mondo ancora dorme, con le sue piccole fessure sulla strada e i suoi abitanti sotterrati nei piumoni. E tu ti senti felice. Ti senti pervasa da una sensazione di serenità, che parte dai piedi e con un guizzo veloce arrivo fino alla punta dei capelli.


Ci sono certe mattine, in cui sei bella che fai male.
In cui non smetteresti mai di guardarti allo specchio, di sistemarti i capelli, di sorridere al tuo riflesso. Ti tuffi in una doccia calda, affogandoti letteralmente di bagnoschiuma e creme per il corpo, aggrappandoti con tutte le tue forze alla maniglia della porta per non scivolare di testa sul pavimento bagnato. Ti senti stupenda, in grado di conquistare il mondo intero, di far cadere nani e giganti ai tuoi piedi.


Ci sono certe mattine, in cui Roma sembra il Paese delle Meraviglie.
In cui cammini per strada con un cartone di caffè a farti compagnia e persino il burbero barbiere ti sorride. Vecchiette imbacuccate ti scrutano dalle loro torri di avvistamento, lasciandosi nascondere da tende impolverate, sentendosi protagoniste di un vecchio film western. Giovani invidiose ti fissano come fossi una rock star, chiedendosi di quale strana sostanza stupefacente fai uso per riuscire ad avere un sorriso raggiante stampato sulla faccia alle sette del mattino.


Ma tu non le noti. Ma tu saltelli. Ma tu sei euforica. Ma tu rovesci il caffè sul vestito e ridi. Ma tu sei leggera come una gialla farfalla ed euforica come un grillo brillo. Ma tu piroetti da un marciapiede all'altro in cerca di una pista da ballo.


Perchè ci sono quelle mattine, in cui sei semplicemente te stessa. 
E non c'è niente di più raro al mondo.





I want to be a part of it.

New York è così. Ti ipnotizza con le sue mille luci, ti aggredisce con le sue immense strade, ti droga con le sue vetrine. Ti sbeffeggia animatamente mentre rimani a bocca aperta ad ammirare i suoi grattacieli.
Lei è magnifica e splendente. E tu, tu sei un vegetale. Una carota o al massimo un sedano. Anzi, peggio. Perchè le verdure almeno sanno che il loro futuro si prospetta un insipido minestrone, mentre tu ti sei lasciata fregare da una città. E guai a te se la chiami "città". Neanche fai in tempo a pronunciare quella parola che l'Empire State Building storge gli ultimi piani, la Fifth Avenue ti sbatte in faccia le porte dei negozi e l'idrante sulla 74esima ti sputa in faccia uno spruzzo d'acqua. Perchè New York è tutto, tranne una banale città. E' un mondo a parte, popolato da strane creature gentili e sorridenti, colmo di vetrine lucenti, invaso da una palpabile sensazione di felicità.


E poi c'è Saks, oh Saks. E Macy's, oh Macy's. E Barneys, oh Barneys.
Questi centri commerciali mastodontici, che se sommi tutte le case, le ville, i garage dei tuoi innumerevoli avi calabresi non fanno il loro piano terra. Così belli, colorati, invitanti. Lì i commessi appena entri ti chiedono come stai e se ti serve una mano. Vi rendete conto? Roba che da noi sei fortunato se i commessi la mano non te la staccano a morsi.


E poi ci sono i musei, dove l'arte non è gusto, è amore. Ti avvolgono con le loro opere, con la loro architettura. Ti parlano, ti suggeriscono i nomi degli artisti. Si spacciano per veri e propri paesi delle meraviglie. E tu cammini, corri, sali, scendi immense scalinate e ti sembra di volare su e giù per il Guggenheim mentre Picasso ti regge la borsetta.
E poi c'è Starbucks che litiga con Chuck Full o'Nuts che prende a pugni Dunkin' Donuts.
Ad ogni angolo della strada uno di loro ti aspetta a porte aperte. Il caldo odore del cioccolato fuso oltrepassa le vetrate per venire ad accomodarsi proprio lì sotto al tuo naso. Due o tre ciambelle alla crema pasticcera rotolano giù dallo scaffale per correre a bussarti alla finestra. E tu, bè tu non puoi non entrare. Appena la campanellina suona la tua presenza, una piccola commessa sovrappeso ti sorride e chiede il tuo nome. E tu, con  quel patetico finto accento americano rispondi "Suze" pensando che mai nella tua vita incontrerai dei negozianti che si interessino così entusiasticamente alla tua sfera privata (per poi rimanere di merda quando scopri che il nome serviva esclusivamente per chiamarti quando il tuo bibitone è pronto!). E ti ritrovi così, inerme davanti a 367 tipi differenti di caffè: con cioccolato, con panna, alla cannella, al pretzel, gusto pepato, alla caramella mou, al torroncino, alle mandorle e noci, al sugo di lepre e chi più ne ha più ne metta. E quando ti porgono il tuo cartone (siii, quelli dei film!) tu ti senti la persona più grata e felice al mondo. E sorridi inebetita tenendo alto il tuo tazzone da un litro di acqua sporca e sostanze tossiche, sapendo perfettamente che per colpa di ciò che tieni fiera in mano passerai gran parte della serata rinchiusa dentro un bagno pubblico.


Eppure sei entusiasta. Eppure ti senti viva. Potresti passare giorni, mesi, anni a perderti tra quelle strade, che si incrociano tutte, come un cruciverba che non sai risolvere. E quando arriva il giorno della partenza, dopo due settimane di neve più alta di te (non che ci voglia un'impresa) e stipendi spesi come niente fosse ( forse per via delle mani bucate dai morsi dei commessi nostrani) ti senti morire dentro. E rimpiangi di non aver comprato quelle scarpe, di non aver visitato il Metropolitan Museum, di non essere salita in cima a quel grattacielo, di non aver sposato un agente di borsa a Wall Street, di non aver rappato a Time Square. E neanche sei salita sull'aereo, che già fantastichi su quando tornerai in quel sogno chiamato America, là dove i Beatles volano.